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i tutti i paesi che ho avuto la fortuna di visitare l’Arabia Saudita è di
gran lunga il più intrigante. Sicuramente perché è il più chiuso ma
anche perché ha una storia antica che lo ha legato con i maggiori
imperi dell’antichità. Essendo la terra delle Città Sante la penisola è stata meta di
pellegrinaggi. Ma - nonostante con i fedeli viaggiassero anche le idee, i gusti, gli
stili e le mode - arte e architettura sono rimaste fedeli alla tradizione locale. Una
tradizione antica, derivata da una felice stagione di grande ricchezza, oggi eguagliata
solo grazie al petrolio. Al tempo dell’impero romano qui transitavano le carovane
che trasportavano l’incenso dallo Yemen fno ai porti sul Mediterraneo. Lo scrittore
e senatore romano Plinio il Giovane nelle sue Epistole nel I secolo d.C. riferendosi
al consumo di incenso nell’impero scriveva “E’ il lusso degli uomini, esibito persino
negli addobbi della morte, che ha reso tanto felice l’Arabia”. Così “felice” da potersi
permettere monumenti funebri come quelli che ancora oggi possiamo ammirare a
Mada’in Saleh.
Il fatto che la penisola sia stata a lungo chiusa ai non musulmani ha alimentato
leggende e molti viaggiatori, soprattutto nell’Ottocento, hanno cercato di visitarla.
Tra questi l’inglese Charles M. Doughty che vi riuscì e al suo ritorno scrisse
Travels
in Arabia Deserta
pubblicato nel 1888. “Dimmi, visto che sei di nuovo qui nella pace
e nella sicurezza di Allah, mentre passeggiamo come negli anni passati verso nuovi
orti in fore, ricchi della dolce primavera come il giardino di Dio, che cosa ti spinge
ةكلمملا زونك
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